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I luoghi più strani di Italia: Il Parco dei Mostri di Bomarzo

Cultura

Di posti magici e speciali in Italia ce ne sono a bizzeffe: il nostro è davvero il paese delle meraviglie, quindi iniziamo questa rassegna dei luoghi più strani d’Italia con il parco dei Mostri di Bomarzo, in provincia di Viterbo.

«A Bomarzo la finzione scenica è travolgente; l’osservatore non può contemplare perché vi è immerso, in un ingranaggio di sensazioni (…), capace di confondere le idee, di sopraffare emotivamente, di coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico ed edonistico (…)»
(Bruno Zevi, Barocco Illuminismo, Roma, 1995)

Il Parco dei Mostri, denominato anche Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie di Bomarzo, in provincia di Viterbo, è un complesso monumentale italiano. Si tratta di un parco naturale ornato da numerose sculture in basalto risalenti al XVI secolo e ritraenti animali mitologici, divinità e mostri.

L’architetto e antiquario Pirro Ligorio su commissione del principe Pier Francesco Orsini (detto Vicino Orsini) progettò e sovraintese alla realizzazione, nel 1547, del parco, elevando a sistema, nelle figure mitologiche ivi rappresentate, il genere del grotesque. Alcuni studiosi, erroneamente, facevano risalire la “regia” a Michelangelo Buonarroti (E. Guidoni), mentre altri, in particolare per il Tempio citavano il nome di Jacopo Barozzi da Vignola. La realizzazione delle opere scultoree fu probabilmente affidata a Simone Moschino.[1] L’Orsini chiamò il parco semplicemente “boschetto” e lo dedicò a sua moglie, Giulia Farnese (non l’omonima concubina del papa Alessandro VI). Vi sono anche architetture impossibili, come la casa inclinata, o alcune statue enigmatiche che secondo alcuni rappresenterebbero le tappe di un itinerario di matrice alchemica.

Salvador Dalí ha parlato del Parco dei Mostri come di un’invenzione storica unica.

Le iscrizioni sui monumenti stupiscono e confondono il visitatore. Forse questa era l’intenzione del principe:

«Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte et stupende venite qua, dove son facce horrende, elefanti, leoni, orchi et draghi.»
Ci sono anche implicazioni morali:

«Animus quiescendo fit prudentior ergo.»
O forse il complesso fu fatto semplicemente “per arte” in un doppio senso della parola:

«Tu ch’entri qua pon mente parte a parte et dimmi poi se tante maraviglie sien fatte per inganno o pur per arte.»
Scienziati storici e filologi hanno fatto parecchi tentativi per spiegare il labirinto di simboli, e hanno trovato temi antichi e motivi della letteratura rinascimentale, per esempio del Canzoniere di Francesco Petrarca, dell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto e dei poemi Amadigi e Floridante di Bernardo Tasso (in quest’ultimo compare ad esempio un dragone d’acciaio con una stanza all’interno, e dalla cui bocca uscivano amazzoni a cavallo). Sono rimasti, però, talmente tanti misteri che uno schema interpretativo omogeneo, alla fine, forse non potrebbe nemmeno essere trovato; su un pilastro compare una possibile iscrizione-chiave “Sol per sfogare il core”. John Shearman, che cita più volte il parco nel suo Mannerism, parla di “incredibili, piacevoli e soprattutto manifeste finzioni – prodotti d’evasione artistica e letteraria”. Nel 1585, dopo la morte dell’ultimo principe Orsini, il parco fu abbandonato e nella seconda metà del Novecento fu restaurato dalla coppia Giancarlo e Tina Severi Bettini, i quali sono sepolti nel tempietto interno al parco, che forse è anche il sepolcro di Giulia Farnese.

dali

Nel 1948 il parco fu visitato da Salvator Dalì che per l’occasione si fece inquadrare in pose originali tra i principali monumenti.

Di seguito i principali Mostri che adornano il Bosco Sacro di Bomarzo, secondo il percorso allestito nel secondo dopoguerra e attualmente ancora in uso.

 

Le Sfingi
Appena varcata la monumentale soglia del Bosco, il visitatore si ritrova di fronte a due Sfingi, il cui aspetto ricalca tanto i modelli classici (donna col corpo di leone) quanto quelli egizi (sono entrambe prive di ali). Le due sfingi, accoccolate su un basamento, sono simbolicamente a guardia del parco, e accolgono il visitatore con le due iscrizioni di “benvenuto” leggibili sotto di loro. Nascoste nei dintorni sono le figure di divinità boschive, attualmente poco discernibili.

Proteo (o Glauco)

La scultura di Proteo-Glauco
Poco distante dalle Sfingi, ma in posizione più dimessa rispetto al percorso principale, è visibile il primo vero Mostro del Parco, identificato come Proteo oppure Glauco; è un immenso mascherone antropomorfo con la bocca spalancata, che sembra emergere direttamente dalle viscere della Terra, sormontato da un grande globo di pietra, sulla cui cima è posta una piccola torre di pietra: questa iconografia rimanda al mondo, dominato dal simbolo degli Orsini.

Il Mausoleo
Un grande masso apparentemente informe, in realtà modellato per sembrare il frontone di una tomba etrusca; le decorazioni ricalcano quelle di una tomba rinvenuta a Sovana.

Ercole e Caco (o “Lotta tra giganti”)
Denominato “il Colosso”, è la più grande statua presente nel Parco. Rappresenta la lotta di due giganti, identificati come Ercole e Caco. Intorno a loro, alcune figure di guerrieri ormai erose dal tempo.

Il gruppo della Tartaruga e della Balena
Nei pressi dei giganti si trova questo gruppo formato da una grossa tartaruga, sul cui guscio tondeggiante è collocata la statua di una Nike, e una grossa balena che emerge dalla terra. I due animali sembrano fissarsi reciprocamente.

La tartaruga è simbolo di stabilità e di longevità, rappresenta l’unione tra la terra e il cielo. Il gruppo scultoreo è infatti il passaggio verso la purificazione e la donna alata è l’apice di questa trasformazione.

Fontana di Pegaso
La vasca di una fontana da cui emerge la figura di Pegaso. Il cavallo simboleggia la passionalità e dell’impetuosità istintiva che può essere dominata dalla volontà spirituale dell’uomo rappresentata dalle sue ali.

A poca distanza il cosiddetto “Albero-statua”, un tronco di larice scolpito su un masso.

Ninfeo e Venere sulla conchiglia
Un grande ambiente a vasca che ricalca i ninfei d’età greco-romana, decorato con le figure delle tre Grazie e di tre ninfe. Sulla parete est si trova la colossale scultura di Venere su una grossa conchiglia, mentre nei dintorni è visibile una fontana ornata da figure di delfini.

Il Teatro
A poca distanza dal Ninfeo, un altro ambiente di matrice classica: il teatro. In realtà si tratta di una riproduzione molto piccola dell’esedra del palcoscenico.

La Casa Pendente
Una delle maggiori attrattive del Parco, si tratta di un piccolo edificio costruito su un masso inclinato e perciò volutamente pendente; la particolarità è che gli interni hanno una pendenza irregolare (il pavimento non è a 90° rispetto ai muri), causando smarrimento in chi vi entra. Si ritiene che originariamente l’entrata del Bosco fosse esattamente di fronte alla Casa Pendente.

Piazzale dei Vasi, Nettuno e la Ninfa dormiente
Un grande piazzale scandito da enormi vasi in pietra, un tempo ornati da iscrizioni oggi non più leggibili, conduce alla maestosa statua di Nettuno, dio dei Mari, adagiato su un letto d’acqua come le divinità fluviali d’epoca romana, con un delfino tra le braccia. A poca distanza, una ninfa gigantesca dorme poggiata sinuosamente sul suo braccio.

Cerere
Dea delle messi e madre di Proserpina, è rappresentata come una gigantesca donna recante un cesto di spighe sul capo e nelle mani una fiaccola e la Cornucopia. Attorno a lei si scorgono figure di creature boschive.

L’Elefante
Un maestoso elefante che reca sulla schiena una grossa torre e nella proboscide tiene un legionario romano, quasi a volerlo stritolare. Sembra un riferimento all’impresa di Annibale durante le Guerre puniche.

Il Drago
Più precisamente si tratta di una viverna, uno spaventoso mostro rettiliforme che lotta contro tre animali, oggi non più riconoscibili.

L’Orco
Sicuramente la figura più celebre del Parco e suo simbolo, è un grande faccione di pietra con la bocca spalancata; in realtà è una camera scavata nel tufo. Per mezzo di alcuni gradini si può entrare al suo interno, dove sono collocate delle panche e un tavolo. Data la forma dell’ambiente, le voci di coloro che vi entrano sono amplificate e distorte, creando un effetto spaventoso.

Il Vaso Gigante, la Panca Etrusca e l’Ariete
Si tratta di tre figure poste a brevissima distanza tra loro: si tratta di una gigantesca anfora decorata con una testa di gorgone, un ariete seduto (molto rovinato) e una panca che ricalca precisamente la forma di un triclinium etrusco o romano, collocata entro una nicchia. Ancora oggi è permesso sedersi sulla panca.

Proserpina, Cerbero e il Piazzale delle Pigne
La figura della regina dell’Ade, molto rovinata, è rappresentata come una donna a braccia aperte, la cui veste è in realtà un’ampia panca su cui è possibile sostare. A pochi passi da lei è Cerbero, il cane dotato di tre teste a guardia dell’Oltretomba. Alle spalle delle due figure si trova il Piazzale delle Pigne, così denominato perché scandito da sculture che riprendono il cosiddetto Pignone.

Echidna, la Furia e i Leoni
Di fronte al Piazzale delle Pigne si trovano queste due mostruose sculture affrontate. Echidna è ritratta come una colossale donna con due code di serpente al posto delle gambe (simile all’iconografia medievale della sirena); la Furia è invece una donna con coda e ali di drago. Tra di loro sono accucciati due Leoni, figli di Echidna e presenti nello stemma di Viterbo.

Il Tempio
Leggermente isolato rispetto al percorso principale del Parco si trova una singolare costruzione, un piccolo Tempio che in realtà fu costruito vent’anni dopo rispetto al resto del Parco in onore della seconda moglie di Vicino Orsini, una principessa Farnese. Il Tempio riprende forme architettoniche di diverse epoche, quella classica (frontone, colonnato e vestibolo) e quella rinascimentale (cupola). L’interno è in realtà costituito da una piccolissima aula circolare, nella quale la famiglia Bettini, che ha restaurato il complesso, ha posto una lapide alla memoria di Tina Severi Bettini, deceduta anche a causa di una contusione durante i lavori di ripristino del parco.

Giomar

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